Indice
Le costanti elementari nella comunicazione visiva
Fantasia, invenzione, creatività, immaginazione
Munari attraverso i suoi studi cerca di elencare e di analizzare quelle che lui crede siano le costanti elementari, riguardanti il funzionamento di alcune delle facoltà umane più comunemente utilizzate nella comunicazione visiva, evidenziando che egli è ben lontano da esaurire il problema della conoscenza di queste facoltà, in quanto, il suo è uno studio marginale per aprire le porte ad un’indagine, che possa dare il via ad uno studio più ampio che spieghi come essere creativi.
Munari inizia col dare la definizione di queste quattro facoltà dicendo che:
- Fantasia: ‹‹Tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile››.
- Invenzione: ‹‹Tutto ciò che prima non c’era, ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici››.
- Creatività: ‹‹Tutto ciò che prima c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale››.
- Immaginazione: ‹‹La fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede››.
Queste facoltà, a parere di Munari, sono legate tra loro attraverso delle costanti che ne determinano il funzionamento reciproco: tutto ciò che noi realizziamo, è pertanto una conseguenza, e una relazione delle conoscenze che abbiamo.
Fin dalla sua origine la filosofia si è posta il problema della fantasia (o immaginazione, in quanto, i due termini sono per lo più sinonimi, e solo nei secoli recenti essi vengono usati in modo distinto), avendo verso di essa un atteggiamento per lo più riluttante, in quanto considerata inutile o addirittura dannosa alla vera conoscenza della realtà.
L’etimologia della parola ‹‹phantasía›› (dal greco antico), viene fatta risalire da Aristotele alla radice di ‹‹pháos›› (luce), mettendo in evidenza la relazione con una rappresentazione mentale di tipo visivo; come gli stimoli luminosi generano sensazioni visive, così la mente produce internamente fantasmi o immagini, le quali sono viste da un occhio osservatore interno della mente allo stesso modo in cui una persona osserva un quadro.
Ma già Platone, nel Timeo, poneva la sede dell’immaginazione nel fegato, in quanto organo lucido capace di ricevere e mostrare le immagini rispecchiandole. Questo rispecchiamento può però essere fornito dalle apparenze date dai sensi, oppure può essere stabilito dall’alto.
Da Platone pertanto si origina una dottrina dell’immaginazione che la vede anche come del tutto indipendente dall’esperienza sensibile, mentre in Aristotele essa resta essenzialmente legata alla sensazione, trovando però in questo legame la garanzia della propria funzione conoscitiva.
Aristotele la definisce: ‹‹Un movimento prodotto dalla sensazione in atto›› sulla base dei sensibili propri (il sapore, il gusto, il colore e la forma per la vista ecc.), dei sensibili comuni (come la massa, la figura, il movimento) e dei sensibili per accidente che intervengono occasionalmente (ad esempio un sapore disgustoso), essa entra nel processo della conoscenza intervenendo nella costruzione dell’immagine unitaria dell’oggetto percepito.
Tuttavia nel momento della sensazione in atto l’immagine scompare perché viene sovrastata dalla forza e dall’intensità della percezione sensibile: al contrario quando i dati sensibili sono assenti, prevalgono le immagini sotto forma di visioni (quello che accade nei sogni).
Per Giordano Bruno invece la teoria dell’immaginazione si collega alla mnemonica, ovvero un sapere universale dove tutte le particolari nozioni fanno capo a idee, o ‹‹tópoi››, cioè a delle immagini che rimandano ad altre idee che l’immaginazione ha il potere di cogliere nella loro somiglianza e affinità.
Se in Aristotele l’immaginazione svolgeva una mediazione conoscitiva tra i sensi e l’intelletto, e in Platone era una facoltà che metteva in rapporto il mondo delle idee con quello delle cose sensibili, in Giordano Bruno la capacità di formare immagini svolge invece il ruolo di una mediazione universale per la quale ‹‹tutto forma ed è formato da tutto… e noi possiamo essere portati a trovare, indagare, giudicare, argomentare, ricordarci di ogni cosa attraverso ogni altra››

Fantasia
A partire dal sec. XVIII nell’uso contemporaneo dei termini fantasia e immaginazione si ha una vera e propria distinzione di significato, secondo la quale fantasia comincia a indicare un’immaginazione sregolata o sciolta. Già nella Logica di Porto Reale (che riprende il concetto cartesiano esposto nella Regula XII) si dice che l’immaginazione è ‹‹la maniera di concepire le cose mediante l’applicazione del nostro spirito alle immagini che sono dipinte nel nostro cervello››, si contrappongono quindi, le immagini che sono idee proprie dell’immaginazione, alle immagini fittizie proprie della fantasia.
‹‹Analogamente Kant diceva che la Fantasia è “l’immaginazione in quanto produce immagini senza volerlo”; onde è “un fantastico” colui che è abituato a ritenere tali immagini per esperienze interne o esterne (Antr., I, § 28). E osservava: “Noi giochiamo spesso e volentieri con l’immaginazione; ma l’immaginazione, in quanto è fantasia, gioca altrettanto spesso, e talvolta male a proposito, con noi” [Ibid., § 31, a]››.
Nel Romanticismo il termine fantasia acquisì un altro significato, intesa come immaginazione creatrice. In tal senso Hegel vedeva nella fantasia ‹‹l’immaginazione simboleggiante, allegorizzante e poetante›› e pertanto creatrice.
I Romantici esaltarono il termine di fantasia così intesa. Per Novalis essa è il bene assoluto: ‹‹La Fantasia, egli diceva, è il senso meraviglioso che può sostituire per noi tutti i sensi. Se i sensi esterni sembra sottostiano a leggi meccaniche, la fantasia evidentemente non è legata al presente né al contatto di stimoli anteriori››.
Nel sec. XIX il carattere disordinato o ribelle dell’immaginazione fantastica divenne (differentemente dal secolo precedente) un elemento positivo, una qualità, la testimonianza di una libertà creatrice. Anche l’estetica romantica fa suo questo concetto di fantasia. In tal proposito Croce dice che: ‹‹L’estetica del sec. XIX foggiò la distinzione, che si ritrova in non pochi dei suoi filosofi, tra fantasia (che sarebbe la peculiare facoltà artistica) e immaginazione (che sarebbe facoltà extra artistica). Ammucchiare immagini, trasceglierle, tagliuzzarle, combinarle, presuppone nello spirito la produzione e il possesso delle singole immagini; e la Fantasia è produttrice laddove l’immaginazione è sterile e adatta a combinazioni estrinseche e non a generare l’organismo e la vita››.
Analogamente a ciò, G. Gentile definiva fantasia l’attività artistica, o sentimento o ‹‹inattuale forma subiettiva›› dello spirito. In tal modo essa cessa di essere un’attività o un’azione umana, definibile o esprimibile nelle sue possibilità e limiti per divenire come manifestazione di un’attività infinita, essa stessa infinita, e pertanto situarsi al di là di ogni possibilità di controllo e di verifica (la fantasia è quindi un conetto magico-metafisico limitato al solo clima romantico che lo creò o predilesse).
Successivamente col passare dei secoli la fantasia assume diversi significati lungo il corso della storia; di base per Munari la fantasia è una facoltà della mente umana che crea immagini fornite dall’esperienza passata e che ci permette di stravolgere la realtà che ci circonda, modificando l’aspetto estetico e funzionale delle cose attraverso un processo di combinazione creativa delle immagini, ovvero un insieme di operazioni mentali implicate nella produzione artistica, ma anche in quelle forme di attività mentale (inclusi il pensiero infantile, il pensiero magico e il pensiero schizofrenico) che deviano dal pensiero discorsivo fondato sulle leggi della logica.
In altri termini: ‹‹La fantasia è la facoltà più libera delle altre, essa, infatti, può anche non tener conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che ha pensato. È libera di pensare a qualunque cosa, anche la più assurda, incredibile, impossibile››, e pertanto è quella facoltà che ha la massima libertà di espressione, in quanto, non è necessariamente vincolata da leggi prestabilite.

“Tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile”.
Bruno Munari
Invenzione
L’invenzione è in differenza un’idea, un dispositivo o un prodotto che porta a un progresso tecnologico. Il termine invenzione deriva dal latino ‹‹inventio›› che significa ritrovamento. A tal proposito disse Kant: ‹‹Inventare qualcosa, è del tutto diverso dallo scoprire. La cosa che si scopre, si ammette come già preesistente, solo che non era ancora conosciuta, come l’America prima di Colombo; quella invece che si inventa, come la polvere da sparo non esisteva affatto prima di colui che la inventò››.
Questo tipo di facoltà (o capacità inventiva), assume diversi aspetti in base ai campi in cui viene applicata. Tradizionalmente, così come nel campo dell’arte, essa sta a indicare il genio, mentre nel campo della logica viene talora associata alla topica (l’arte dei luoghi) o in altri casi all’intuizione.
Per ciò che riguarda l’invenzione, in quanto genio nella scienza, Kant (in seguito Schelling), definisce le scoperte scientifiche come il non portato di un genio (dato che il loro metodo può essere appreso o imitato). Non per nulla c’è una grande differenza di grado dall’essere il più grande inventore o il più dozzinale imitatore, così come non si impara a essere poeti geniali, giacché l’artista stesso non ha regole stabilite per produrre il suo lavoro, in quanto egli non sa in che modo produce le sue opere che sono il frutto di una speciale capacità innata. Ed è analogamente a questo concetto che Kant, poi Fichte, Schelling e Hegel, elaborano una dottrina del genio, inglobando nel concetto di genio, tratti già divenuti canonici e al tempo stesso introducono rilevanti innovazioni al riguardo.
Nella Critica del giudizio Kant per risolvere il paradosso dell’‹‹arte bella›› introduce il concetto di genio, associando ad esso un produrre che sia preceduto da una regola e il cui prodotto appaia tuttavia talmente spontaneo da essere visto come un prodotto della natura e pertanto non forzato da regole prestabilite.
In tal modo, l’arte bella è possibile in virtù della ‹‹natura dell’oggetto››, a differenza invece dell’‹‹arte meccanica››, la quale si basa sullo zelo e l’apprendimento. Quando poi le facoltà in atto vanno a relazionarsi con l’immaginazione (o produttività in quanto creatrice poiché non si limita alla produzione di associazioni empiriche banali, ma bensì origina connessioni del materiale intuitivo nuovo in natura), essa, come dice Kant, ‹‹crea per così dire un’altra natura››.
È evidente, quindi, da ciò che per Kant il genio nasce da un giusto accordo d’immaginazione e intelletto, ovvero esso scaturisce da un libero uso dell’immaginazione non più soggetta a quei vincoli o blocchi che pone l’intelletto nell’uso conoscitivo (in tal modo tutte le forze conoscitive ne vengono vivificate, ed è per questo che Kant considera sinonimi in questo contesto i termini genio e spirito).
Tra le molte distinzioni o vere e proprie opposizioni che hanno improntato la storia di questo concetto, emerge la coppia talento-genio. Una delle formulazioni più esplicite ed esemplificative di tale nozione si trova in Hegel, che definisce il talento in termini di una determinazione naturale, la quale si esprime come speciale padronanza tecnica in rapporto a una ricchezza di esperienze intellettualmente associata a un particolare settore, e come tale esso può non superare i limiti della bravura (poiché il genio è un susseguirsi del talento e non viceversa).
Durante l’Ottocento il genio, per lo più nella forma di questa distinzione, prosegue con applicazioni e sviluppi notevoli; per esempio, in Schopenhauer il genio è visto come contemplazione delle idee, svincolata dal principio di ragione; fenomeno quindi prossimo alla follia (nel ventesimo secolo invece la questione del genio nell’uso comune tenderà ad abbandonare la profonda etimologia del termine, riproponendosi anche e soprattutto sul piano sperimentale facendo testo alla psicologia, alla biologia e all’antropologia culturale).
In riguardo invece al genio inteso come ‹‹intuizione››, esso è stato costantemente inteso nella storia della filosofia come il rapporto diretto (quindi privo d’intermediari) con un oggetto qualsiasi effettivamente presente in quel determinato momento.
Analogamente a ciò Plotino usa il termine per designare la conoscenza immediata e totale che l’intelletto divino ha di sé e dei suoi oggetti propri, in quanto è una sorta di sapere superiore e privilegiato dal fatto che ad essa l’oggetto è immediatamente presente. Lo stesso Cartesio parlava dell’‹‹intuito evidente›› come di una delle vie che conducono alla vera conoscenza, intendendo con ciò l’apprensione immediata di un qualsiasi oggetto mentale; egli diceva che: ‹‹L’intuizione della mente, si estende sia alle cose, sia alla conoscenza delle loro reciproche connessioni necessarie, sia infine a tutto ciò che l’intelletto sperimenta con precisione in se stesso o nell’immaginazione››.
In differenza Kant riferendosi al senso tradizionale del termine asseriva che ‹‹l’intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall’immediata presenza dell’oggetto››. L’intuizione è pertanto, in generale, per Kant la conoscenza alla quale l’oggetto stesso è direttamente presente; egli inoltre distingue due tipi di intuizione una ‹‹sensibile›› e una ‹‹intellettuale››.
L’intuizione sensibile ‹‹è quella di ogni essere presente finito, a cui l’oggetto è dato: essa è perciò passività, affezione››; mentre l’intuizione intellettuale ‹‹è originaria e creativa; è quella per la quale l’oggetto stesso è posto o creato ed è perciò propria soltanto dell’Essere creatore, di Dio››.Essa rappresenta in altre parole l’intuito divino della filosofia tradizionale.
Nell’era moderna l’intuizione è diventata una peculiare attitudine a cui fanno appello soprattutto scienziati, matematici o i logici più che i filosofi, in quanto essi la usano per sottolineare il linguaggio inventivo della loro scienza. Claude Bernard diceva che: ‹‹L’intuizione o sentimento genera l’idea o l’ipotesi sperimentale cioè l’interpretazione anticipata dei fenomeni della natura. Tutta l’iniziativa sperimentale è nell’idea giacché essa sola provoca l’esperienza. La ragione o il ragionamento servono solo a dedurre le conseguenze di questa idea e a sottoporle all’esperienza››.

“Tutto ciò che prima non c’era, ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici”.
Bruno Munari
Creatività
La creatività invece a detta di Munari è il ‹‹fine ultimo della fantasia e dell’invenzione››; essa viene usata nel campo del Design come metodo di progettazione per produrre qualcosa che prima non c’era, e che allo stesso tempo sia funzionale ed effettivamente realizzabile.
Il termine creatività, sta genericamente a indicare ogni forma d’arte e ogni capacità cognitiva della mente umana che ci consente di creare e inventare (anche se esso può prestarsi a numerose interpretazioni e significati diversi).
Nella cultura romantica, la creatività umana, di cui il genio artistico è l’esempio probante, è vista come il mistero per eccellenza, diverso dalla ragione, e scintilla quasi divina che trascende ogni spiegazione (e questo proprio nell’epoca in cui la libertà si affermava come il valore antropologico e politico supremo). Tuttavia tale definizione nell’era postmoderna non si distacca molto da tale significato, anzi essa viene più che altro esasperata in modo sempre più netto dalla libertà alla creatività dell’uomo; da ciò che fa dell’uomo un soggetto giuridico a ciò che lo distingue come soggetto dell’innovazione e artista della vita, ribadendo in tal modo il paradosso tipicamente moderno: per cui possiamo conoscere tutto tranne ciò che conta veramente.
In un saggio del 1978 Emilio Garroni rielabora l’accordo tra ‹‹immaginazione›› e ‹‹intelletto›› definito da Kant nella Critica del giudizio, dove tale accordo viene riconosciuto come il vero motore propulsivo dell’attività razionale, e che adesso in Garroni viene visto come ‹‹un principio di creatività››, il cui rapporto è risolutivo in ogni genere di produzione culturale.
Di conseguenza ‹‹la specifica creatività artistica, quale si manifesta nelle forme d’arte più esclusive (…), è la medesima creatività che regola in generale la produzione culturale quale che sia, ed esprime le caratteristiche specifiche dell’adattamento umano, le sue specifiche capacità illimitate di scelta sotto una legalità assai generale››. Essa è pertanto la capacità di produrre pensiero creativo, come quella di comunicare o di apprendere; ed è un’abilità trasversale, dato che può essere applicata a campi diversi come arte, scienza e tecnologia.
In merito a quanto detto, il pensiero creativo consiste nel cogliere i rapporti tra le cose o le idee in modo nuovo, o nel formulare intuizioni non previste dagli schemi di pensiero abituali e tradizionali; in altre parole, per Garroni (contrariamente all’etimologia romantica del termine) l’intervento creativo non fa parte di una qualche facoltà mentale misteriosa e velata all’individuo, ma è semplicemente dovuto da una semplice attività di riflessione che non può fare a meno di elaborare tutti i dati assimilati in un unico spazio logico.
Henri Poincaré disse a proposito della creatività: ‹‹Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili››. E a tal proposito egli scrisse: ‹‹Un risultato nuovo ha valore, se ne ha, nel caso in cui stabilendo un legame tra elementi noti da tempo, ma fino ad allora sparsi e in apparenza estranei gli uni agli altri, mette ordine, immediatamente, là dove sembrava regnare il disordine […] Inventare è discernere, è scegliere […] fra tutte le combinazioni che si potranno scegliere, le più feconde saranno quelle formate da elementi tratti da settori molto distanti. […] Quel che più lascia colpiti è il fenomeno di queste improvvise illuminazioni, segno manifesto di un lungo lavoro inconscio precedente […] a proposito delle condizioni in cui avviene il lavoro inconscio, vi è un’altra osservazione da fare: esso è impossibile, e in ogni caso rimane sterile, se non è preceduto e seguito da un periodo di lavoro cosciente.
Le ispirazioni improvvise […] non avvengono mai se non dopo alcuni giorni di sforzi volontari, che sono sembrati completamente infruttuosi […] come vanno le cose, allora? Tra le numerosissime combinazioni che l’io subliminale ha formato alla cieca, quasi tutte sono prive di interesse e senza utilità; ma proprio per questo motivo non esercitano alcuna influenza sulla sensibilità estetica: la coscienza non arriverà mai a conoscerle. Soltanto alcune di esse sono armoniose – utili e belle insieme››.
Per Poincaré, dunque, la creatività è quella capacità di unire elementi preesistenti, in combinazioni sempre nuove, che siano utili (ovvero la combinazione trovata deve essere funzionale allo scopo). Quindi, essa dipende molto dallo sviluppo della conoscenza; esige un’intelligenza pronta ed elastica, una mente aperta e senza preconcetti di alcun tipo, pronta sempre a imparare ciò che le serve e a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una più giusta.
Analogamente a ciò Munari dice che ‹‹Il prodotto della fantasia, come quello della creatività e dell’invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce››. Ma per definire meglio l’ambito di quanto stiamo trattando è utile sottolineare che la creatività riporta direttamente ai concetti di nuovo e utile, che definiscono l’essenza stessa dell’atto creativo: il ‹‹nuovo›› porta al superamento delle regole esistenti, mentre è solamente con il riconoscimento dell’utilità dell’idea che si potrà arrivare all’applicazione della creatività in maniera fruttuosa.
È fondamentale, per l’individuo, avere innanzitutto una profonda conoscenza delle cose e delle necessità che dovrà risolvere in maniera creativa, così da riconoscere il ‹‹nuovo›› e l’‹‹utile›› con curiosità e spirito critico e affrontare in tal modo il processo di rinnovamento determinato dalla creatività.
Infine, troviamo l’immaginazione che, come dice Munari, è il mezzo per visualizzare ciò che la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano. Essa varia a seconda dell’individuo e può spingersi oltre il pensiero stesso.

“Tutto ciò che prima c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale”.
Bruno Munari
Immaginazione
L’immaginazione a differenza della fantasia, dell’invenzione e della creatività, può pensare anche a qualcosa già esistente ma che al momento non è tra noi. Può non essere necessariamente creativa, come in alcuni casi non riuscire a rendere visibile un pensiero fantastico.
Ma il concetto d’immaginazione nella storia del pensiero è ben più complicato di questo proposto da Munari; infatti, come già detto in precedenza, il termine immaginazione nella storia della filosofia è ben coinciso con quello di fantasia, in quanto solo nell’età moderna esso assume un significato ben distinto da quello di fantasia.
A partire dal Novecento due importanti teorie verranno formulate sull’immaginazione: quella di Gaston Bachelard, e quella di Jacques Lacan. A cominciare da questi due autori assistiamo a una nuova terminologia; non si parla più d’immaginazione ma di ‹‹immaginario›› intendendo non più basare lo sguardo sulla facoltà immaginativa quanto sui suoi prodotti: i miti, i sogni, la poesia, cercando non tanto di interpretarli quanto piuttosto di analizzarli nella loro struttura interiore. Mentre Bachelard vede
nell’immaginario qualcosa di complementare al pensiero scientifico.
Per Lacan invece si deve guardare all’immaginario in un modo del tutto nuovo, esso sarebbe il luogo psicologico delle false immagini che l’‹‹Io›› produce di se stesso, a cominciare dalla cosiddetta ‹‹fase dello specchio›› (lo specchio dove si riflette, non quello che siamo, ma quello che vorremmo essere), investendo e fissando in esse le proprie energie libidiche.
Ma queste identificazioni immaginarie sono pertanto segnate da un irrimediabile carattere di falsità, e sono destinate a continui fallimenti, mentre la vera storia dell’‹‹Io›› può svolgersi solo al livello di quello che Lacan chiama il ‹‹simbolico››, caratterizzato cioè dalla mobilità e dalla struttura differenziale che lo lega al linguaggio e alla sua convenzionalità sociale; in tal modo l’immaginario e di riflesso l’immaginazione, sembrano perdere in questa dottrina gran parte dei caratteri che erano stati loro attribuiti nella storia del pensiero occidentale.
Nel 1973 Z.W. Pylyshyn pubblicò un articolo sull’immaginazione mentale rifiutandone la tradizionale interpretazione pittorica e la sua definizione come ‹‹percezione interna››; in quanto le immagini mentali sono descrivibili mediante espressioni di tipo proposizionale, ovvero entità simboliche relativamente indipendenti dalla modalità sensoriale cui si riferiscono.
Nel 1986 lo psicologo Allan Urho Paivio elabora la teoria del ‹‹doppio codice››, secondo la quale la mente è dotata di due sistemi di elaborazione e rappresentazione dell’informazione, nettamente distinti tra loro ma interagenti durante l’attività cognitiva dell’individuo.
Paivio distingue un ‹‹codice verbale››, costituito da unità fonetiche, lessemiche ecc., che si combinano tra loro secondo regole grammaticali e sintattiche per formare parole e frasi, e si sviluppa in modo sequenziale nel tempo; e un codice ‹‹non verbale›› formato da unità cosiddette olistiche, che contengono informazioni per generare le immagini mentali (per esempio, l’immagine di un albero è formata da componenti, tronco, rami, foglie ecc.). In tal modo l’informazione presente in uno dei due sistemi di codifica può attivare un processo di relazionamento con l’altro sistema (pertanto la descrizione verbale di un oggetto può generare un’immagine mentale e, viceversa un’immagine può condurre ad una descrizione verbale); tutto ciò avviene tramite l’esperienza, in quanto è presente una relazione tra immagine e parola che fa assumere un valore simbolico alla concezione mentale. In conclusione secondo Paivio: la conoscenza è la capacità d’integrare l’informazione verbale e visiva e associare questa ad altre informazioni di natura semantica.
Successivamente S.M. Kosslyn ipotizzò che la produzione d’immagini fosse basata sulle informazioni conservate nella memoria a lungo termine (in forma analogicovisiva o verbale) e che le stesse scorressero su di una sorta di schermo mentale che lui chiamò ‹‹visual buffer››. Ma contrariamente a quanto detto secondo la critica di Pylyshyn, queste operazioni non fanno parte di un processo libero, ma di fatto dipendono da un sistema di elaborazione fondato su modalità e procedure di tipo ‹‹proposizionale e simbolico››.
In altre parole, quando noi immaginiamo un oggetto (o una qualsiasi cosa), si verificherebbe una sorta di visualizzazione interna che ci permetterebbe di configurare i dati noti ed essenziali di quell’oggetto; l’immagine pertanto sarebbe una sorta di apparizione interna (e inconsapevole) che la memoria genera in modo oggettivo.
In un’interessante teoria formulata da Nigel J.T. Thomas nel 1999 (e successivamente applicata dallo stesso all’immaginazione e alla fantasia), si affermerebbe che: ‹‹non è una sorta di fotografia del mondo esterno, ma un processo attivo di ricognizione e individuazione di unità d’informazione esterna in funzione degli interessi dell’osservatore››.
Secondo Thomas quindi, non vi sarebbe prima lo stadio della percezione e poi quello dell’attenzione che filtra ciò che è stato percepito trasferendolo agli stadi successivi per un’ulteriore elaborazione cognitiva; ma bensì sarebbe l’attenzione a guidare l’esplorazione del mondo esterno, facendo in tal modo percepire all’individuo solamente ciò che corrisponde ai propri schemi e alle proprie aspettative.
Questa teoria, detta dell’‹‹attività percettiva››, venne successivamente applicata, dallo stesso Thomas, ai due distinti concetti di immaginazione e di fantasia, mettendo in evidenza come gli schemi conservati nella memoria per esplorare determinate figure o scene nella realtà esterna, vengono attivati anche quando queste sono immaginate (secondo Thomas, questa concezione costruttiva dell’immaginazione consente anche di vederne la relazione con la fantasia e l’immaginazione creativa).
In tal modo, ritornando a Munari, e ai concetti più elementari di tali facoltà, possiamo dire che: ‹‹l’immaginazione comincia a vederlo, la creatività inizia a pensare ad un uso da dargli e l’invenzione pensa al modo più giusto di realizzarlo. La fantasia inoltre sarà più o meno fervida in base alla cultura dell’individuo. Un individuo di cultura molto limitata non può avere una grande fantasia, dovrà sempre usare i mezzi che ha, quello che conosce, e se conosce poche cose tuttalpiù potrà immaginare una pecora coperta di foglie invece che di pelo››.

“La fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede”.
Bruno Munari
Esempi di Fantasia
Mehmet Ali Uysal Pinzare il dosso di un prato esempio di fantasia legato al cambio di dimensioni. | Nicola Bolla Teschio di carte (da poker) esempio di fantasia legato al cambio di materia. |
René Magritte Sasso mare esempio di fantasia legato al cambio di peso. | Dariusz Klimczak Fotografia surreale esempio di fantasia legato al cambio di luogo. |