Indice
Forme creative di espressione estetica
Arte e design
Il termine Arte, genericamente sta ad indicare ogni tipo di attività umana, che genera ‹‹forme creative di espressione estetica››, basate su abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza. Nel suo significato più sublime, essa è invece definita come ‹‹espressione estetica dell’interiorità umana››, in quanto rispecchia le opinioni dell’artista nell’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico.
Per Platone l’intero dominio della conoscenza è diviso in due Arti, quella ‹‹giudicativa›› (che consiste semplicemente nel conoscere) e quella ‹‹dispositiva›› o imperativa (che consiste invece nel dirigere, in base alla conoscenza, una determinata attività).
Analogamente a ciò Platone afferma che l’arte comprende ogni attività umana ordinata (compresa la scienza), e in tal proposito essa si distingue nel suo complesso dalla natura. In differenza Aristotele restrinse il concetto di arte proposto da Platone, sottraendo ad esso il campo della scienza (poiché essa è quella del necessario, cioè di ciò che non può essere diverso da com’è). Successivamente egli divide gli elementi del campo dell’‹‹azione›› da quelli della ‹‹produzione››, stabilendo che la produzione (in quanto possibile), è oggetto d’arte; in questo senso anche l’architettura entra a far parte dell’arte e l’arte si definisce come ‹‹l’abito, accompagnato dalla ragione, di produrre qualcosa››. Quindi per Aristotele l’ambito dell’arte viene così a restringersi molto, qui sono considerate arti: la retorica e la poetica (ma non la logica), le arti manuali o meccaniche, la medicina (ma no la fisica o la matematica).
Nel mondo antico medievale tale distinzione aristotelica non fu però ereditata. Gli Stoici, infatti, estesero la nozione di arte affermando che ‹‹l’Arte è un insieme di comprensioni›› (intendendo per comprensioni, l’accettazione ad una rappresentazione comprensiva), e non permette pertanto una distinzione tra arte e scienza. In seguito sarà Plotino a porre una distinzione tra arte e scienza (volendo conservare alla scienza il suo carattere contemplativo), distinguendo le arti in base al loro rapporto con la natura.
Con Plotino l’architettura (così come, le arti analoghe a essa nella costruzione di oggetti), viene distinta dalla medicina così come dall’agricoltura (in quanto si limitano ad aiutare la natura), e dalle arti pratiche come la retorica e la musica (poiché esse tendono ad agire sugli uomini, rendendoli migliori o peggiori).
Con l’ammontare dei secoli (sec. I) nove saranno le discipline che entreranno a far parte delle ‹‹Arti liberali›› (in contrasto con quelle manuali), alcune delle quali Aristotele definirebbe scienze e non arti. Tale arti furono definite da Varrone in: grammatica, retorica, logica, aritmetica, geometria, astronomia, musica, architettura e medicina.
Nel sec. V, sarà poi Marziano Cappella (nelle Nozze di Mercurio e della filologia) a ridurre tali arti a ben sette, eliminando quelle che per lui non erano necessarie ad un sapere spirituale, e cioè l’architettura e la medicina (concetto che resterà immutato per molti secoli).
Per San Tommaso invece le arti si dividevano in ‹‹Arti liberali›› (ovvero, dirette al lavoro della ragione), e ‹‹Arti servili›› in quanto ‹‹ai lavori esercitati con il corpo, che sono in un certo modo servili, il corpo è sottomesso servilmente all’anima e l’uomo è libero secondo l’anima››. La suddetta Arte rimase tuttavia a designare per lungo tempo non solo le ‹‹Arti liberali›› ma anche le ‹‹Arti meccaniche›› (i mestieri).
Kant riassume le caratteristiche tradizionali del concetto di arte quando distingue l’arte dalla natura e dalla scienza, distinguendo in tal modo in essa ‹‹l’Arte meccanica›› e ‹‹l’Arte estetica››, affermando che: ‹‹Quando l’Arte, conformemente alla conoscenza di un oggetto possibile, compie soltanto le operazioni necessari per realizzarlo, essa è Arte meccanica; se invece ha per scopo immediato il sentimento di piacere, è Arte estetica. Questa è Arte piacevole o Arte bella. È piacevole quando il suo scopo è di far si che il piacere si accompagni alle rappresentazioni in quanto semplici sensazioni; è bella quando il suo scopo è di accoppiare il piacere alle rappresentazioni come modi di conoscenza››.
Quindi per Kant l’arte bella è una sorta di piacere disinteressato poiché essa è una specie di rappresentazione il cui fine è in se stessa, mentre le arti piacevoli mirano soltanto al godimento. Pertanto l’arte ha avuto numerosi significati nel corso dei secoli asservendo a essa funzioni magiche durante la preistoria (dove nacque il linguaggio visivo, che permetteva di rappresentare l’immagine dell’animale da catturare per la sopravvivenza della comunità).
In Egitto essa ebbe funzioni magiche e rappresentative, mentre per Roma l’arte ha avuto una funzione pratica e celebrativa; nel Medioevo assunse invece funzioni didattiche ed esplicative; nel Rinascimento funzioni estetiche e conoscitive; Nel periodo barocco ebbe funzioni estetiche, devozionali e persuasive. Nel Romanticismo l’estetica ebbe una funzione costante con varianti espressive. Oggi essa ha invece funzioni educative, politiche, sociali, mercantili; viene accentuata la funzione sperimentale, e tende ad essere uno strumento di conoscenza e di stimolazione della creatività individuale.
E in tal proposito Munari parlando dell’arte ne distingue vari tipi (ovvero a seconda degli interessi degli stessi autori che la generano); c’è chi si occupa della ricerca estetica, chi sperimenta nuove tecniche e mezzi, c’è chi fa dell’arte commerciale (normalmente contrabbandata per ‹‹Arte pura››); c’è chi fa dell’arte per hobby, chi dipinge o scolpisce quello che vuole, e infine c’è l’Arte Ufficiale o Arte di Stato simile a quella dei cimiteri (questo tipo di arte salta fuori ogni volta che viene indetto un concorso per un monumento di un qualsiasi eroe ignoto, o se si deve commemorare con l’arte figurativa, una conquista nazionale).
Munari dice: ‹‹L’arte è un fatto mentale la cui realizzazione fisica può essere affidata a qualunque mezzo››, essa dunque è legata alla conoscenza delle cose, al bagaglio culturale dell’individuo, e ai vari mezzi di comunicazione utilizzati per realizzarla. In tal modo ‹‹la legge del minimo sforzo col massimo risultato vale quindi anche per l’arte, minimo sforzo, in questo caso, vuol dire pure strumentazione giusta››; si tratta semplicemente di conoscere che cosa le tecniche di oggi ci possono dare, questo perché l’arte è indubbiamente legata ad esse.

“Ogni artista intinge il pennello nella propria anima, e dipinge la sua stessa natura nei suoi quadri.”
Henry Ward Beecher
La nascita del design
Con l’avvento del sec. XVIII e della rivoluzione industriale inglese e del movimento delle ‹‹Arts and Crafts››, il concetto di arte muta notevolmente, qui tra le varie forme d’arte, arte di ricerca, arte di stato, hobby, e via dicendo, nasce il ‹‹design››: un nuovo tipo di arte legata all’industria e che coincide con i codici, i simboli e gli stili di vita della società moderna.
In quegli anni l’architetto Otto Koloman Wagner scrisse a proposito del design: ‹‹Tutte le creazioni moderne che vogliano risultare adeguate all’umanità moderna devono fare i conti con i nuovi materiali e le nuove esigenze del presente. L’architetto riassume in sé idealismo e realismo […]. Il modo di abitare e di vivere, la moda, l’etichetta, il clima, la posizione geografica, il materiale, gli strumenti ecc., in fine gli aspetti finanziari hanno un enorme peso nella nascita di un opera d’arte […]. L’architetto [e il designer] dovrà creare forme nuove o adattare quelle che corrispondono meglio alla modernità e alle necessità del nostro tempo; solo così risponderanno a verità››; in tal modo il design è ritorno alla natura, una natura non imitata ma ricreata, ricostituita sui raffinati schemi lineari di questa nuova stilizzazione.
Adolf Loos, architetto, pubblica nel 1908 Ornamento e Delitto, un testo provocatorio in cui sottolinea l’utilità sociale della produzione di oggetti di forma semplice e funzionale; in seguito lo stesso Loos (nel 1972) pubblicherà Parole nel vuoto, favola che ridicolizza l’idea dell’opera d’arte totale come costrizione entro la quale l’uomo deve vivere secondo precise regole, colori, forme, e addirittura deve abbigliarsi secondo norme di atteggiamento che insemina un’esasperata attenzione alla moda che è diventava totale privazione della libertà dell’individuo: ‹‹Non temere di essere giudicato non moderno… Perché la verità, anche se vecchia di secoli, ha con noi un legame più stretto della menzogna che ci cammina al fianco››.
Ma un primo e ben definito esempio nello studio del design si ebbe in Germania nel 1907 grazie a H. Muthesius, il quale istituì il ‹‹Deutscher Werkbund››, un’associazione tedesca di artisti, architetti e designer che aveva lo scopo di stabilire un forte legame tra l’industria e le arti applicate (nacque così un rapporto tra il prodotto industriale del progettista e la creatività dell’artista); la quale rappresenterà una tappa importante nello sviluppo dell’architettura moderna e del disegno industriale e in particolare nella successiva fondazione del ‹‹Bauhaus›› nato a Weimar nel 1919 e che durerà fino al 1932 quando verrà in seguito chiusa dal regima nazista.
Qui la novità dell’insegnamento stava nel fatto che gli allievi invece di studiare l’arte del passato, erano incoraggiati a pensare in termini di bisogni del mondo moderno. Analogamente a ciò, l’architetto e maestro della scuola Marcel Breuer, scrisse: ‹‹Noi oggi siamo orientati verso problemi funzionali, cioè alla soluzione di problemi; la questione stilistica non è più questione di tendenza, bensì di qualità.
Una sedia, per esempio, non deve essere orizzontale-verticale, e neppure espressionista e neppure costruttivista e non deve adattarsi al tavolo, ma deve limitarsi ad essere una buona sedia››. Pertanto i laboratori del Bauhaus diventarono rapidamente crocevia dell’avanguardia progettuale europea.

Il design in Italia
Tuttavia in Italia il design cominciò ad affermarsi con il Razionalismo e le Triennali, prima della guerra, e soprattutto con l’architettura cosiddetta ‹‹funzionale››. Dopo la seconda guerra si andò affermando il gusto per ‹‹la bella forma››, e si fece strada un approccio più estetico e decorativo del design. Ma mentre gli anni Cinquanta videro la diffusione dei consumi di massa e l’applicazione del design anche a prodotti di larga diffusione, fu solo negli anni Sessanta che si ebbe l’assoluta maturità del design italiano.
In questi anni lo stesso Munari fu uno delle personalità più rivoluzionarie dell’epoca, capace di unire la genialità della mente ad un notevole artigianato manuale; in seguito con la fine degli anni Sessanta si avrà un notevole allargamento dell’azione del design: in tal modo l’architettura non è più necessariamente il costruito, così come il design non si identificherà più con il solo oggetto.
Nell’era moderna i campi del design sono attualmente molteplici, ma riconducibili fondamentalmente a tre settori principali, i quali spesso sono in stretta relazione fra loro: il ‹‹design del prodotto›› (che coinvolgendo tutte le discipline inerenti alla progettazione dell’oggetto come il design dell’arredo, lighting design, design della moda, design automobilistico, packaging design ecc.); il ‹‹design degli ambienti e degli spazi›› (in stretta correlazione con l’architettura di interni e l’urbanistica); il ‹‹design della comunicazione›› (che si rivolge ai molteplici sistemi di comunicazione e presentazione dei vari prodotti del design, ma anche di servizi e marketing).
Pertanto il design, diversamente da quanto si crede ha un significato molto più ampio e tecnico: in esso si ritrova il rapporto tra il prodotto e il suo utilizzatore e l’intero studio del suo processo costruttivo, l’intero progetto di un prodotto, compreso il suo ciclo di vita. Il design di un prodotto è quindi il risultato dell’analisi di tutte le caratteristiche progettuali che definiscono il prodotto stesso, come studi sull’ergonomia, l’usabilità, la pre-produzione, l’impatto ambientale, la dismissione, i costi, la scelta dei materiali e delle loro proprietà, dei rivestimenti, le proprietà meccaniche e strutturali, ecc.

Tessuto elastico tubolare con anelli metallici in alluminio naturale.
L’artista e il designer
In arte come mestiere Munari divide l’uomo artista dall’uomo designer, e lo fa analizzando per settori le diverse categorie riguardanti i rispettivi ruoli che occupano queste due figure del nostro tempo affermando che: ‹‹Si rende oggi necessaria un’opera di demolizione del mito dell’artista-divo che produce soltanto capolavori per le persone più intelligenti››, pertanto l’artista per Munari deve abbandonare il suo innato senso romantico (ovvero non deve più produrre solo per se stesso e per pochi eletti ma per la comunità), informandosi sulle tecniche, sui materiali e sulla loro lavorazione, senza però abbandonare il suo innato senso estetico; in quanto ‹‹Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone››.
A colmare tale lacuna è oggigiorno compito del designer, il quale ristabilisce questo contatto tra arte e pubblico (eliminando l’antico divario che si poneva tra i due): ‹‹Non più il quadro per il salotto ma l’elettrodomestico per la cucina››. In tal modo troviamo da un lato l’artista romantico, con idee soggettive e con una concezione assoluta e indiscutibile del suo operare; mentre al suo opposto, come contrapposizione a tutto ciò che egli rappresenta abbiamo il designer, oggettivo, razionale, esageratamente logico, che vuole giustificare tutto quello che fa con ragioni a volte forzate; la sua meta è l’estetica intesa come tecnica pura: ovvero un’estetica che nasce da una coerenza di tipo logica e costruttiva dell’oggetto (non si ha pertanto una forma prestabilita, ma bensì una forma finale nata dalla coerenza globale degli elementi che costituiscono l’oggetto).
A questo punto analizzando l’operare di queste due figure contrastanti possiamo dire che l’artista è l’autore di opere rare, di pezzi unici, fatti con le proprie mani; il suo modo di lavorare è molto personale (in quanto basato sulle emozioni), egli cerca di caratterizzare visivamente il proprio stile lasciandosi trasportare dalle sensazioni che riceve dal mondo esterno, inoltre lavora per se stesso e per un ‹‹élite›› che lo possa capire. Il designer è invece un progettista dotato di senso estetico, che lavora per la comunità. Il suo è un lavoro di gruppo (egli realizza dei gruppi di lavoro in base al problema da risolvere); e a differenza dell‘artista che ha un proprio stile personale, il designer non ha alcun stile e la forma finale dei suoi oggetti nasce semplicemente dalla logica della sua progettazione, tenendo conto di tutti i problemi progettuali: le materie più adatte, le tecniche più giuste, tiene conto della componente psicologica, del costo, e di ogni possibile funzione. Esso non si rivolge a un élite che lo possa capire, ma al grande pubblico dei consumatori; progetta oggetti che oltre a risolvere bene le loro funzioni, abbiano anche un aspetto coerente secondo una scelta dalla quale nasce quella che Munari definisce ‹‹l’estetica della logica›› (ovvero il prodotto è bello in quanto funzionale).
Quando l’artista opera nel suo mondo di arte pura, non si preoccupa del pubblico che osserverà la sua opera; la sua unica preoccupazione è di dar forma alla sua idea artistica (cosa che porta molto spesso gli artisti a essere disprezzati e ignorati da vivi, in quanto non capiti, e poi riconosciuti come grandi maestri dopo la loro morte); mentre il designer deve sempre preoccuparsi di essere capito (il suo messaggio visivo deve essere compreso senza possibilità di equivoco). Pertanto il designer non può operare se non ha una cultura viva senza limitazione di conoscenze, fatta di sapere e tecnologie attuali.
Mentre l’artista tradizionalista ha di per se una cultura classica, il designer non può limitarsi al semplice concetto di classico e di certo egli rifiuta certi preconcetti legati ad una malsana svogliatezza nell’apprendere gli infiniti orizzonti dell’arte; in quanto egli crea una propria tradizione giorno dopo giorno in base alle esperienze che fa, alle sperimentazioni dei vari materiali o degli strumenti di oggi; in modo da usare sempre la materia giusta con il mezzo più appropriato allo scopo di realizzare oggetti che siano capiti e che funzionino realmente per un bisogno effettivo da soddisfare: ‹‹Quando l’artista invece vuol fare il designer opera sempre in modo soggettivo, cerca di mostrare la sua “artisticità”, vuole che l’oggetto prodotto conservi o trasmetta il suo verbo artistico, sia questo artista un pittore, uno scultore, un architetto.
A tutt’oggi c’è molta confusione in questo campo dove non è ancora chiaro il passaggio che sta avvenendo nella nostra epoca tra valori soggettivi e oggettivi. In una società progredita non sono più i valori soggettivi (il “come io vedo il mondo”) ma quelli oggettivi che tendono ad avere il sopravvento, anche perché il metodo soggettivo non porta molto lontano››. E inoltre: ‹‹Molti artisti credono che, appartenendo al mondo superiore dell’arte, sia per loro facile occuparsi di questa attività che è il design, dato che loro la considerano come un’arte minore; mentre l’artista nel campo dell’arte pura può fare quello che vuole senza preoccuparsi del pubblico, il designer ha delle regole precise da osservare, senza le quali il suo lavoro risulta falso o pasticciato. Inoltre l’artista è portato in un certo senso a disprezzare questo pubblico che non lo
capisce; mente il designer è portato a operare nel rispetto del pubblico, e anzi cerca
di aiutarlo a capire››.
Il lavoro di gruppo del design, svolge quindi anche una funzione di raccolta e coordinazione di un insieme interdisciplinare di competenze, attraverso le quali, tramite una sintesi di tipo creativo, egli realizza il suo progetto (possiamo a questo punto dire che l’artista produce pitture e sculture, mentre il designer produce oggetti).
Peraltro come lo stesso Munari fa notare, quasi sempre l’opera di un artista è sostenuta dalla critica d’arte, la quale si occupa di accompagnare quadri e sculture o altre forme d’arte nei cataloghi delle mostre (tramite dei commenti personali sull’opera dell’artista). In merito a ciò risulta evidente che i problemi di ricerca estetica o altro, passano in secondo piano in questo tipo di arte, in quanto tutto dipende fortemente dalla bravura del critico nel enfatizzare il lavoro dell’artista e nell’inserirlo nel mondo del business.
L’opera del designer invece, non ha bisogno del sostegno della critica o comunque della sua funzione sostenitrice (salvo che nei casi di pubblicazioni specifiche). Infatti, alla presentazione al pubblico di un oggetto di design è sufficiente che esso sia accompagnato dalle ‹‹istruzioni per l’uso››, come avviene normalmente per qualsiasi nuovo prodotto inserito nel mercato. In aggiunta le opere del designer che hanno un prezzo secondo il valore e la funzione reale, non hanno falsificatori (problema invece molto noto nel mondo dell’arte, dove un quadro essendo unico e irripetibile, è spesso soggetto a falsificazioni), perché essi non sono pezzi unici ma oggetti portatori di nuove informazioni estetiche, prodotti industriali a basso prezzo, che hanno lo scopo di diffondere maggiormente la conoscenza estetica anche fra quelle persone che sono veri amatori d’arte ma che non posseggono molto denaro.
Infine Munari conclude col dire che: ‹‹L’artista puro sogna per tutta la vita di arrivare a fare la porta del Duomo (se è uno scultore); se invece è un pittore sogna di fare una pittura enorme, alta come una casa di trenta piani, così che tutto il mondo possa vedere la sua Arte, la sua bravura. […] Il sogno del designer è quello di arrivare a progettare un oggetto che svolga in pieno le sue funzioni pratiche ed estetiche, che sia facile da usare, che costi così poco per cui tutti quelli che ne hanno bisogno lo possano facilmente comperare e usare. Il designer si preoccupa della massima diffusione di un buon oggetto, fino al limite dei mercati rionali››.

L’estetica del design
Munari dice: ‹‹Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare. Se quello che usiamo ogni giorno è fatto con arte (non a caso o a capriccio) non avremo niente da nascondere››. E ancora: ‹‹Se volete poi sapere qualcosa di più sulla bellezza, che cos’è esattamente, consultate una storia dell’arte e vedrete che ogni epoca ha le sue veneri e che queste veneri (o apolli) messi assieme e confrontati, fuori dalle loro epoche, sono una famiglia di mostri››.
Quindi il designer ha il compito di liberare la mente altrui dai soliti preconcetti, per far comprendere al prossimo che i tempi cambiano e che ad ogni modo tutto muta. Usando un oggetto di design (progettato da un designer) infatti, si può avvertire la presenza di un artista che ha lavorato anche per noi (in quanto progettato per un bisogno effettivo da soddisfare), migliorando le condizioni di vita del fruitore e favorendo il suo rapporto con il mondo dell’estetica.
Un esempio di ciò lo ritroviamo nell’antichità, quando si producevano oggetti d’arte combinati all’uso comune della vita di tutti i giorni, non esistevano oggetti d’arte da guardare e un oggetto comunque da usare. Arte era un tutt’uno con la vita.
Ma l’estetica del design è però ben diversa dal concetto estetico in se (dal greco aisthánomai, percepisco con i sensi, sento; e áisthesis, sensazione), il quale a partire dal Settecento iniziò ad indicare la disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte.
Nella Critica del giudizio Kant, definisce ‹‹estetico›› il giudizio del gusto, aggiungendo inoltre che è ‹‹estetico›› il giudizio che ‹‹riguarda il bello e il sublime nella natura e nell’arte››. Ma sebbene l’estetica (intesa come disciplina filosofica specifica) sia un fatto moderno, in realtà la radice dalla quale essa si genera proviene dalla tradizione più antica del pensiero filosofico europeo, che fin dagli albori della filosofia (in Grecia) ha elaborato sia una dottrina della bellezza sia un insieme di riflessioni sulle arti. Nel pensiero greco arcaico, la riflessione sulla bellezza assunse alcuni caratteri che rimangono determinati per tutte le tradizioni dei secoli avvenire.
Per Omero essa è ‹‹luminosità›› e ‹‹splendore del sensibile››, così come ‹‹sono belle le armi degli eroi perché sono ornate e rilucenti; è bella la luce del sole e della luna, e bello è l’uomo dall’occhio splendente››; per Esiodo invece la bellezza è forza è capacità di attrarre e ingannare in quanto forza di persuasione (come attesta il potere che Afrodite, dea della bellezza, esercita sull’uomo). Ma in realtà: ‹‹un primo passo nella direzione dell’unificazione fra teoria del bello e teoria dell’arte è compiuto da Plotino, per il quale “le arti recano in sé la bellezza” e, soprattutto, non si limitano a riprodurre le cose sensibili ma (secondo una prospettiva già anticipata nella Poetica aristotelica) salgono alle forme ideali che sono il modello degli enti naturali (Enneadi, V, 8, 1).
Con questa dottrina, peraltro non sistematicamente sviluppata, Plotino anticipa tematiche dell’estetica romantica e idealista, che (soprattutto con Schelling) si richiamerà esplicitamente a lui››. Tale direzione di pensiero sarà in seguito ripresa dal pensiero cristiano della tarda antichità e del medioevo; quest’ultimo a sua volta si dividerà tra due linee di pensiero contrapposte: una definita ‹‹metafisica del bello›› (intesa come luminosità), e una intesa come teoria del bello come ‹‹numero››, misura e proporzione. D’alto canto il significato più caratteristico del pensiero medievale (e che porta all’estetica moderna), sembra individuarsi nell’accentuazione del concetto di opera (in quanto opera di Dio creatore è il mondo).
Questo naturalmente comporta che nel pensiero medievale tutte le cose del mondo sono opera di Dio; e il bello è pertanto uno dei trascendentali (ovvero uno dei caratteri generalissimi degli enti in quanto enti). Va però anche detto, che sebbene queste tesi sono essenziali per la nascita del concetto di ‹‹arte bella››, tuttavia esse non sono condizioni sufficienti per il suo sviluppo, in quanto per far ciò a esse occorre ancora che maturi la consapevolezza tecnica delle arti.
Nel sec. XIX si arriverà a un nesso (raggiunto per vie diverse nel settecento), tra arte e bellezza; nel senso che la bellezza a cui tanto l’arte mira non può che essere il baratro di una umanità ‹‹armonizzata››; oppure nel senso che Hegel attribuisce ad essa, in quanto non c’è altra bellezza se non quella realizzata dall’arte, che però vede poi l’arte come uno dei momenti supremi della liberazione dello spirito che si attua complessivamente come processo storico. Ma tuttavia con Hegel (così come in altri pensatori idealisti), l’estetica appena istituita già si avvia verso un processo di dissoluzione, in quanto essa rientra nella filosofia della storia (che chiaramente implica la teoria hegeliana della ‹‹morte dell’arte››, ovvero del suo carattere passato).
Nell’estetica di Hegel pertanto, troviamo un’indagine sul bello e sull’arte che tende a venire assorbita in una teoria generale dello spirito e del suo sviluppo storico, nella quale la stessa esperienza estetica è vista solo come un momento storico, destinato a dissolversi col tempo. In Kant invece il concetto estetico è nettamente legato alla fisionomia dell’estetica intesa come disciplina filosofica specifica dedicata all’indagine sul bello e sull’arte; differente dal concetto estetico positivista esemplificato da Hippolyte Taine, che vede l’indagine del bello e dell’arte trasformarsi in una sorta di ricerca di tipo ‹‹scientifico-positivo››, sostenendo che l’opera d’arte non nasce mai a caso, ma (in quanto fatto storico) si configura come il risultato di una serie di circostanze ‹‹fisico-ambientali›› ben stabilite (come il clima, le situazioni economiche geografiche e quelle socio-politiche). In altre parole, tutti gli individui (e quindi anche gli artisti), nel loro operare, sono necessariamente influenzati da un insieme di forze naturali e storiche cui non possono sottrarsi.
Tuttavia tali concetti non si presentano nettamente distinti tra di loro, ma piuttosto essi costituiscono le componenti, delle principali teorie estetiche a cavallo tra Ottocento e Novecento, le quali si collocano in posizioni intermedie tra Kant e Hegel (è il caso dell’estetica di B. Croce, il quale fissando in modo sostanzialmente kantiano una sfera dell’esperienza estetica, concepita come momento dell’intuizione del particolare, accanto a quella dell’esperienza concettuale, egli tende a evitare l’esito della morte intesa come momento superato dall’esperienza storica).
Émile Brehier (filosofo francese) non esita a chiamare l’estetica disciplina «semifilosofica», rivolta in primo luogo alla comprensione dell’atto creativo nei suoi molteplici elementi dato che: «il compito dell’estetica è allora cogliere il gesto operativo e la tecnica stessa dell’artista, lasciando alle arti tutta la loro diversità, tutta la loro indipendenza, tutta la loro libertà»; insomma: fin dal suo sorgere l’estetica, si caratterizzò (nei suoi rappresentanti più significativi) nello stesso tempo come interrogazione su ciò che si definiva ‹‹bello››, ‹‹arte››, ‹‹gusto››, ‹‹genio›› ecc., e come rifiuto motivato di darne definizioni.
Tali definizioni vanno riportate infine alla nozione comune, centrale e indefinibile di sentimento, che Kant chiama più precisamente ‹‹senso comune››, in quanto è il ‹‹senso›› o ‹‹sentimento comune›› (quel libero gioco delle facoltà, immaginazione e intelletto) che rendeva possibili i giudizi di gusto caratterizzati da ‹‹necessità esemplare›› (era non specifico di essi), poiché per Kant era una condizione non intellettuale a creare un accordo di intelletto e immaginazione anche nella conoscenza e nell’applicazione dei concetti a casi effettivamente concreti (una regola applicativa intellettuale avrebbe infatti comportato un processo all’infinito e addirittura una contraddizione).
La riflessione estetica esprimeva con ciò lo sforzo di risalire l’esperienza in genere nella sua interna condizione sull’occasione esemplare dell’esperienza del bello e dell’arte bella; così da farle porle in questione, sì, gli oggetti cosiddetti ‹‹belli›› (in particolare le opere dell’arte bella) ma sempre nel quadro della possibilità di una esperienza in genere. Pertanto si può dire che se nell’Ottocento l’estetica era identificata con la filosofia dell’arte, invece nel Novecento è venuta maturando l’idea che l’estetica (proprio sulla base delle riflessioni kantiane), non sia una parte della filosofia ma faccia tutt’uno con la filosofia stessa. Quel sentimento, infatti, che caratterizza l’estetica, ossia quel ‹‹senso comune›› o ‹‹universalità soggettiva››, è la condizione non solo di ogni nostro sforzo di comprendere l’esperienza ma anche di ogni conoscenza, inclusa quella scientifica.
Nessuna conoscenza può infatti prescindere da quel ‹‹sentire›› che è la stessa capacità creativa del pensiero umano. In questa prospettiva l’arte è il riferimento esemplare del giudizio estetico, esemplare nel senso che è proprio nell’individualità dell’opera d’arte che quel sentimento, quella creatività, vengono mostrati in modo esplicito. Tuttavia nel mondo moderno le manifestazioni artistiche, sembrano aver perduto quelle caratteristiche che in passato ci facevano parlare di grande opera d’arte e in particolare quel ‹‹contenuto di verità››, grazie al quale le opere d’arte, come scrive Adorno, ‹‹parlano del mondo››. In questo modo l’estetica finisce col riferirsi a manifestazioni che non sono più artistiche, tanto che si è arrivati a parlare di ‹‹estetismo diffuso››, intendendo con ciò il fatto che si finisce per estendere la nozione di estetica alle manifestazioni più diverse: dagli oggetti d’uso quotidiano alla politica, dagli spettacoli più diversi allo sport.
Si tratta però di manifestazioni che, chiudendosi in se stesse e trovando in se stesse l’unico significato, che ci negano quella possibilità di comprensione del mondo e della vita che invece era propria della grande arte. Ai giorni nostri dice Munari ‹‹non si considera più la bellezza ma la coerenza formale›› e la funzione decorativa in senso psicologico dell’oggetto; e in tal senso il designer è un progettista con senso estetico; ovvero egli cerca di costruire l’oggetto con la stessa naturalezza con la quale in natura si formano le cose, non progetta in base al suo gusto personale ma cerca di essere il più oggettivo possibile, aiutando l’oggetto a formarsi con i propri mezzi, dando a esso la propria forma logica.
Proprio come in natura ‹‹una foglia è bella ma non per ragioni di stile, perché è naturale, nata dalla funzione con la sua forma esatta››. In tal modo ogni oggetto prende la sua forma che non sarà una forma definitiva perché le tecniche si evolvono facendo nascere continuamente nuovi materiali (e quindi a ogni innovazione si ripresenta il problema e l’oggetto può variare di forma).
Progettazione dunque fatta nel vero senso della parola, senza preconcetti di stile, senza preoccuparsi di fare arte, cercando solo di dare ad ogni cosa la sua struttura logica, la sua logica materia e di conseguenza la sua logica forma. Non si possono applicare le regole della scultura o della pittura al design. Perché il design non ha nulla a che fare con la bellezza, riferita alle arti belle, o con il senso di equilibrio che ritroviamo nei capolavori del passato, né con le proporzioni e via dicendo; ‹‹Se la forma di un oggetto risulterà “bella” sarà merito della strutturazione logica e dell’esattezza nella soluzione delle varie componenti. Il “bello” è la conseguenza del “giusto”. Una progettazione esatta dà un oggetto bello. Ma non bello perché assomiglia a una scultura sia pure moderna, bello senza paragoni››.

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La progettazione per una progettazione consapevole 10 Marzo 2021 at 3:42 pm
[…] personale, tenendo sempre a mente che non è un Artista che crea per il suo gusto personale, ma un Creativo che realizza per la produzione di […]