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La camera chiara

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La camera chiara, nota sulla fotografia

Roland Barthes

Roland Barthes inizia questo saggio (La camera chiara) con l’affermare che la fotografia è inclassificabile e che qualunque cosa essa dia a vedere e in qualunque maniera lo faccia, resta in ogni caso invisibile, poiché ciò che noi vediamo non è lei, perché una fotografia si trova sempre all’estremità di un gesto, essa dice: questo è esattamente così! Ma non dice altro e non può essere trasformata in altro, poiché rappresenta l’istante di cui è l’involucro trasparente.

Cogliere il significato di una fotografia è impossibile per Barthes, in quanto basterebbe solo conoscere e riflettere su ciò che essa vuole trasmettere. Per sua natura, un immagine, ha sempre qualcosa di tautologico (ripetitivo), poiché porta sempre con sé il suo referente che aderisce a essa facendo in modo che ci sia un enorme difficoltà a mettere a fuoco l’immagine stessa.

<<…il lenzuolo portato in braccio dalla madre in lacrime (perché quel lenzuolo?)…>>

In essa possiamo però distingue tre elementi fondamentali dell’arte fotografica in quanto una foto può essere oggetto di 3 emozioni o interazioni: fare, subire e guardare.

  • L’operator ovvero l’operatore, colui che fa la foto.
  • Lo spectator ossia il fruitore, lo spettatore.
  • Lo spectrum vale a dire il soggetto immortalato.

Barthes ci dice che non appena ci sentiamo guardati dall’obiettivo tutto cambia facendoci assumere un atteggiamento di posa, come se ci fabbricassimo un altro corpo trasformandoci in un’immagine. In tal modo lo spettatore non coinciderà mai con la propria immagine, in quanto la fotografia in sé trasforma il soggetto in oggetto, per esempio il ritratto è un campo chiuso di forze, quattro immaginari si incontrano, si affrontano e si deformano.

Davanti all’obiettivo noi siamo noi e nel contempo quello che crediamo di essere, quello che vorremmo si creda che noi fossimo o ciò che il fotografo crede di vedere. Quindi non smettiamo mai di imitarci, siamo sfiorati da una sensazione di inautenticità.

“La fotografia rappresenta quel particolarissimo momento in cui non siamo né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un oggetto che diventa soggetto.”

Roland Barthes

Un arte poco sicura

Barthes afferma di non amare tutte le foto di uno stesso fotografo, ma di esserne colpito solo da alcune, e così attraverso il disordine e la casualità che in essa si trova egli definisce la fotografia come un’arte poco sicura, definendo questa attrattiva nei riguardi di alcune foto con la parola <<Avventura>> (poiché essa anima colui che la guarda).

L’autore come spectator s’interessa alla fotografia solo per sentimento e vuole approfondirla non come un problema, ma come una ferita. Guardando una foto egli nota che quella foto non è che gli piaceva o lo incuriosiva, ma che per lui quella foto esisteva, e ciò era dovuto alla presenza di due elementi discontinui che attiravano la sua attenzione (facendo nascere delle domande), e lui da a questo primo elemento il nome di <<Studium>> (nel senso di interessamento allo scenario e alle azioni).

Il secondo punto invece viene a disturbare lo studium e cioè il <<Punctum>> inteso come puntura, fatalità che in essa mi punge. Riconoscere lo Studium significa capire le intenzioni del fotografo, entrare in armonia con esse e capirle, è una sorta di educazione che ci permette di ritrovare <<l’Operator>> e di vivere i suoi intenti, ma sempre secondo il nostro volere di Spectator.

Quindi il gesto principale dell’Operator è quello di sorprendere qualcosa o qualcuno con l’effetto Shock fotografico, ossia rivelare ciò che era ben nascosto (quello che l’attore stesso ignorava o di cui non era consapevole).

Il fotografo deve quindi sfidare le leggi del probabile, dell’impossibile e andare all’estremo opposto e sfidare quelle dell’interessante, in tal modo la foto diventa sorpresa del momento che non si sa perché sia stata fatta.

La fotografia può significare solo avendo una maschera, in quanto in essa c’è il senso di puro. La maschera tuttavia è la regione difficile della fotografia, poiché la società diffida dal senso puro. Essa vuole si un senso ma vuole che quel senso sia circondato da un rumore che lo renda meno acuto poiché la foto il cui senso è troppo impressivo, viene presto travisato.

La fotografia è <<Unaria>> quando enfaticamente trasforma la realtà senza sdoppiarla, senza farla vacillare, quindi essa ha tutto per essere banale. La foto di reportage per esempio sono molto spesso unarie, il punctum in esse è assente, vi è un shock ma no un turbamento.

<< La maschera è il senso, in quanto è assolutamete puro…>>

Non c’è una regola di connessione tra studium e punctum, poiché si tratta di una co-presenza fornita per caso e senza scopo, basta solo che l’immagine venga recepita in pieno in tutta la sua totalità. Molto spesso il punctum è un particolare che attira l’attenzione e che a volte riempie l’intera fotografia con la sua presenza. Così il particolare che attira l’attenzione non è intenzionale, bensì esso si trova nel campo della cosa fotografata come supplemento non voluto e a causa dell’impronta di quel qualcosa la foto non è più un immagine qualunque.

Questo qualcosa ha fatto tilt, trasmettendo una vibrazione, il passaggio di un vuoto. Quindi il gesto virtuoso che s’impadronisce delle foto sensate (dotate di puro studium) è un gesto pigro, mentre la lettura del punctum è una lettura spedita e attiva insieme. Lo studium è in definitiva sempre codificato a differenza del punctum che non lo è mai.

La fotografia per Barthes deve essere silenziosa, e non è una questione di discrezione ma di musica, perché la soggettività assoluta si raggiunge solo in uno stato di silenzio, in modo che chiudendo gli occhi il suo particolare deve risalire da solo alla coscienza effettiva.

Quando si definisce una foto come un’immagine immobile, si intende dire che da essa i personaggi non escono fuori, in quanto anestetizzati. Tuttavia non appena vi è un punctum subito si crea un campo cieco, facendo uscire il personaggio dalla fotografia, dotando la stessa di un campo cieco che la distingue tra quella erotica e quella pornografica.

Nella foto pornografica non vi è il punctum, tutto al più essa diverte, la foto erotica al contrario non fa del sesso un oggetto centrale, ma trascina lo spettatore fuori dalla cornice, ed è al quel punto che la foto si anima e a sua volta essa anima chi la guarda.

Possiamo quindi dire che il punctum è una sorta di fuoricampo, come se l’immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa da a vedere.

“La foto dice Barthes è come un teatro primitivo, un quadro vivente, la raffigurazione della faccia immobile e truccata, sotto la quale noi vediamo i morti.”

Roland Barthes

La fotografia come prima morte

Barthes osservando una vecchia fotografia della madre quando aveva 5 anni, riscoprì la dolcezza della donna che era stata nella luminosità di quel viso, nella posa ingenua di quelle mani e nell’innocente espressione di quel volto, e notò che la posa fotografica aveva trasformato tutto ciò in quel paradosso insostenibile che lei aveva sostenuto per tutta la vita, per cui quella fotografia per lui era solo, immagine giusta, in quanto gli dava una sensazione sicura di quel ricordo.

Le Origini

Ma si accorse anche, che ripercorrendo tre quarti di secolo (fino a giungere all’immagine di una bambina) di averla persa per ben 2 volte, nella sua stanchezza finale e nella sua prima foto, e in ciò capì che la fotografia andava interrogata rispetto all’amore e alla morte, in quanto ogni foto è co-naturale al suo referente (il referente è la cosa necessariamente reale che è stata posta d’innanzi all’obiettivo senza il quale non vi sarebbe la fotografia).

In qualsiasi foto ci dice Barthes è impossibile negare l’effettiva presenza di quella cosa è stata immortalata, quindi guardando una fotografia lo spettatore include nel suo sguardo il pensiero di quell’istante, trasferendo in tal modo l’immobilità di quella foto nella registrazione passata, anche se essa non ricorda il passato e non restituisce ciò che è abolito dal tempo, ma attesta solo ciò che si vede è che effettivamente è stato, il altre parole il passato e il reale insieme.

Lo spettatore pertanto è il punto di riferimento di ogni fotografia, ed è per questo che essa induce a stupirci, affermando ciò che è stato, ovviamente può mentire sul senso della cosa, ma mai sulla sua esistenza. Pertanto un’immagine non è mai in essa un ricordo, più che altro blocca il ricordo diventando un contro-ricordo. Essa è violenta non perché mostra violenza, ma perché riempie di forza la vista e perché in essa niente può sottrassi e neppure trasformarsi.

“Tutti questi fotografi che si agitano nel mondo, consacrandosi alla cattura dell’attualità, non sanno di essere <<agenti della morte>>.”

Roland Barthes

Infatti, bisogna pure che in una società la morte abbia una collocazione, e se essa non è nella sfera religiosa, allora deve esse altrove dice Barthes, forse nell’immagine che produce la morte volendo conservare la vita. Con la fotografia entriamo nella morte piatta, poiché all’estremità di questa prima morte (ciò la foto che immortala l’evento) è inscritta la nostra prima morte.

L’autore a questo punto distingue un altro punctum oltre a quello del particolare, esso non è di forma, ma d’intensità, è il tempo del <<è stato>> la sua raffigurazione pura.

“Le foto sono come la vecchiaia, anche se radiosa essa scarnisce il volto, mette in evidenza la sua essenza genetica, facendo notare così i tratti somatici che ci rimandano alle somiglianze familiari.”

Roland Barthes

Il medium bizzarro

La fotografia pur essendo piatta in tutti i significati della parola, può comunque contenere in esse un elemento fondamentale chiamato <<Aria>>. L’aria è come il supplemento dell’identità, essa esprime il soggetto, elimina quella maschera di falsità lasciando percepire l’anima del soggetto in ciò che vediamo. L’immagine diviene dunque l’ombra luminosa che accompagna il corpo senza la quale il soggetto rappresentato muore per sempre.

In tal senso la fotografia diventa una specie di <<Medium bizzarro>>, una sorta di allucinazione, falsa al livello della percezione, vera al livello del tempo, un’immagine folle, velata di reale. Va anche detto che la società si adopera per far rinsavire la fotografia, ma per far questo essa ha a disposizione solo 2 mezzi:

<< Non guarda nulla; trattiene dentro si sé il suo amore e la sua paura: ecco, lo Sguardo è questo>>

Il primo consiste nel fare della fotografia un’arte, giacché nessun’arte è pazza, ma essa può essere un’arte solo quando non vi è più alcuna follia e di conseguenza, quando la sua essenza non agisce su di me.

La seconda consiste nel generalizzarla, banalizzarla al punto che di fronte a essa non vi sia più nessun’altra immagine rispetto alla quale essa possa spiccare o afferrare la sua follia.

Pazza o savia la fotografia può essere entrambe le cose, è savia se il suo realismo resta relativo, temperato da abitudini estetiche o empiriche, è pazza se questo realismo è assoluto, originale, se essa riporta alla coscienza amorosa, revulsiva, se porta all’estasi fotografica.

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